Ha fatto scalpore la sentenza del tribunale di Torino, dove un 46enne dipendente della croce rossa è stato assolto dal reato di molestie sessuali con motivazioni ritenute, da molti, “inaccettabili”.
Non hai detto “BASTA!” urlando ma sottovoce? Allora non può essere considerato stupro.
Questo sembrerebbe essere al momento il pomo della discordia, la motivazione aberrante che ha fatto indignare il paese e riportata da tutti i principali quotidiani (con tanto di titoloni molto aggressivi).
Ma è andata veramente così? Proviamo ad analizzare un pò la sentenza.
Partiamo però da un presupposto.
Le differenze di genere in italia esistono ancora. Il gentil sesso al giorno d’oggi è ancora per tanti versi oppresso e sottomesso. Le statistiche occupazionali e dei crimini violenti sono insindacabili.
Non stupisce perciò pensare che molte violenze, soprusi e abusi rimangano nel silenzio e non vengano denunciate.
Ed è in questo contesto che la società e soprattutto la politica devono inserirsi, spronando le donne vittime di violenze a denunciarne i soprusi, senza paura.
Detto questo, dal momento che le donne e gli uomini devono avere pari diritti e doveri soprattutto di fronte alla giustizia, vale per tutti il principio di innocenza.
Un indagato è di principio innocente, e sta all’accusa dimostrarne la colpevolezza.
Perchè dico questo?
Perchè nonostante per tutti I media la vicenda in questione fosse una “ violenza sessuale conclamata, ma dal momento che non hai urlato c’è il vizio di forma” la realtà è ben diversa.
Il collegio giudicante (per l’occasione tutte donne ma sono dettagli) ha semplicemente più volte ritenuto inattendibile la ricostruzione della vittima.
La donna “non riferisce di sensazioni o condotte molto spesso riscontrabili in racconti di abuso sessuale, sensazioni di sporco, test di gravidanza, dolori in qualche parte del corpo”. Infine, rimarca il collegio tutto femminile, Laura, quando le viene chiesto cosa ha provato su quelle barelle, risponde: “Disgusto”. “Ma – scrive la presidente di sezione – non sa spiegare in cosa consisteva questo malessere”. “Non grida, non urla, non piange – rimarca la corte – pare abbia continuato il turno dopo gli abusi”.
Inoltre nessuno dei colleghi (maschi e femmine) ha riscontrato comportamenti coercitivi da parte del 46enne volto, come sostiene la presunta vittima, a farle evitare turni sconvenienti.
Ma se quindi il rapporto c’è stato ( confermato da entrambi) ma fosse stato consenziente? Perchè la vittima non ha manifestato dissenso?
“Uno il dissenso lo dà, magari non metto la forza, la violenza come in realtà avrei dovuto fare, ma perché con le persone troppo forti io non… io mi blocco”.
E su questo pesa il fatto che la vittima fosse stata vittima in passato di abusi del padre. Abusi che possono averle psicologicamente impedito di reagire, bloccata e paralizzata da quella figura, lavorativamente parlando, più alta di grado.
Ma I profili psicologici valgono per chiunque; anche per chi, come il 46enne coinvolto, non dimostra nessun possibile profilo o indizio di uno stupratore o “abusatore” della propria posizione lavorativa.
Conclusioni?
Se denunci uno stupro e non sei in grado di:
- Ricordare nel dettaglio le scene e I momenti.
- Quando li ricordi sono contradditori.
-
Non hai nessuna testimonianza anche solo di supporto alle tue accuse.
-
Nessun segno di violenza.
-
Nessuna perizia medica a favore.
-
Denunci dopo molto tempo dall’avvenimento del fatto.
-
L’accusato conferma il rapporto ma afferma fosse consenziente.
Allora mi dispiace ma il giudice non ha giustamente prove a sufficenza per dichiare lo stupro.
Il problema non sono I giudici e queste sentenze. Ma come ci si arriva.
Le donne sono ovviamente tutelate di fronte ai tribunali, il problema per loro è la strada che devono fare per arrivarci.
Rispondi